Vite passate, vite presenti

A settembre dello scorso anno Kryon, canalizzato da Lee Carroll per la prima volta in Italia, aveva avvertito gli operatori che si occupano di vite passate di prepararsi perché il numero di persone che si sarebbero rivolte a loro nel prossimo futuro sarebbe vistosamente aumentato. Kryon è un’entità angelica che come i lettori abituali di questo blog sanno bene è uno dei principali riferimenti nel mio percorso spirituale. E come in tanti altri casi anche questa sua previsione si sta rivelando esatta.
Nel mio lavoro di counsellor a orientamento ipnologico io mi occupo (anche) di vite precedenti. La cosiddetta “ipnosi regressiva” — che permette di ricordare e rivivere le vite precedenti — fa infatti parte del mio set di strumenti, anche se nel mio lavoro non è più così centrale come all’inizio della mia “carriera” professionale. Ma ho notato che dagli ultimi mesi del 2013 molte persone mi stanno contattando attratte proprio dall’ipnosi regressiva, anche se ancora sono poche quelle che poi iniziano un percorso con me. Questo è dovuto in parte alle inevitabili paure e resistenze interiori che, nonostante le buone intenzioni, frenano in un modo nell’altro la decisione di andare davvero a scoprire le luci e le ombre del proprio passato (tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!). Oltre a questo influisce però anche una falsa idea di cosa sia l’ipnosi regressiva. Spesso leggendo i libri che ne parlano — ad esempio quelli di Brian Weiss, sicuramente lo studioso e terapeuta più famoso tra quelli che si occupano di ipnosi regressiva, e quello che ha avuto l’indubbio merito di darle per primo credibilità e risonanza mondiale — il lettore è portato a credere che, grazie alle tecniche e alle capacità dell’ipnologo, fin dalla prima seduta riuscirà a ricordare una vita precedente significativa che si proietterà sul suo schermo mentale come se stesse guardando un film. E che grazie a questo in poche sedute riuscirà miracolosamente a liberarsi dei propri problemi, a sbloccare situazioni dolorose che si ripresentano da anni se non da un’intera vita, e a realizzare di conseguenza i propri desideri. Ovviamente le cose non sono così semplici.
Lo stato di trance (io preferisco parlare di trance lucida piuttosto che di ipnosi vera e propria) è uno stato naturale della coscienza umana, alternativo allo stato ordinario di coscienza — la coscienza di veglia, che sperimentiamo normalmente nel corso delle nostre giornate — e tutti possono accedervi. Ma è uno stato di coscienza a cui la maggior parte di noi non è abituata, e che la nostra cultura e la nostra società non contemplano o addirittura rifiutano. Quante volte tanti di noi da bambini si sono sentiti ripetere, con una certa riprovazione, “non stare sempre con la testa tra le nuvole” o “smettila di sognare ad occhi aperti”? Questi due modi di dire popolari di fatto indicano — giudicandolo negativamente — uno stato naturale di trance, in cui ci si astrae dalla realtà materiale e dagli stimoli sensoriali che ci circondano e ci si lascia andare alla propria immaginazione e alla propria creatività. Uno stato “magico”, che gli artisti in particolare conoscono molto bene, in cui si può capire meglio sé stessi e le nostre vere aspirazioni e si inizia a dare forma alla nostra realtà. La nostra cultura, la società e l’educazione ci condizionano invece ad essere sempre totalmente agganciati alla realtà materiale e alle circostanze contingenti così da poterle gestire e controllare. E il controllo (la volontà e la necessità di tenere sotto controllo ogni cosa) è il nemico numero uno dello stato di trance.
Perciò in linea generale la maggior parte delle persone — essendo fin dalla nascita immerse in questa cultura del controllo — incontrano inizialmente delle difficoltà e non riescono da subito ad accedere a uno stato di trance lucida abbastanza profondo da permettere l’emergere delle memorie di altre vite. Questo è quello che è successo anche a me all’inizio della mia terapia regressiva. È necessario un impegno più o meno lungo per superare blocchi e resistenze senza forzarli, rinunciare al controllo e darsi il permesso di allargare la propria coscienza. Alcuni, dopo un paio di sedute, che se lo dicano o meno sì rendono in qualche modo conto di non essere disposti ad assumersi questo impegno, o sono comprensibilmente spaventati dai ricordi che potrebbero emergere. E va bene così. Ognuno deve scegliere il suo sentiero, e anche il momento giusto per iniziare a percorrerlo. Qualcuno magari torna dopo mesi o anni, quando il tempo giusto è maturato. Qualcuno trova invece altre strade più congeniali per evolversi. Nessuna tecnica e nessun approccio psico-spirituale possono essere quelli giusti per tutti.
Ma in ogni caso credo sia utile, per chi è in qualche modo attratto dall’ipnosi regressiva, o dall’ipnosi in generale, capire un po’ meglio di cosa si tratta, per poi poter scegliere con più consapevolezza se sperimentarla o cercare altro.
Recentemente un mio “cliente” ed amico ha pubblicato un libro, Joseph e Lia (può essere acquistato nelle principali librerie online), che racconta una sua vita precedente, ricordata appunto attraverso l’ipnosi regressiva, in cui è stato internato nel lager di Mauthausen. Un libro di forte impatto e al tempo stesso molto poetico e profondo. La settimana scorsa siamo andati a Nuoro a presentarlo, in un piccolo e delizioso caffè letterario (Due archi), e il discorso ovviamente si è allargato ad includere l’ipnosi regressiva e le sue caratteristiche. Sono rimasto molto colpito dal numero di persone presenti, venute anche da luoghi distanti, e dal fatto che alcune di loro sono rimaste pazientemente in piedi per due ore abbondanti ad ascoltarci, dimostrando una volta di più che l’interesse per questo argomento è diffuso e che la previsione di Kryon era corretta.
In quest’ottica di divulgazione e di chiarimento, ho deciso di preparare un seminario teorico/pratico sul tema, durante il quale si sperimenteranno alcune trance. Lo terrò a Cagliari domenica 23 marzo (pubblicherò a breve la locandina con tutti i dettagli), e poi vedrò se sarà possibile riproporlo anche in qualche altra città della Sardegna. Ho anche ripubblicato (solo in versione ebook) il libro che ho scritto una decina di anni fa sulla mia terapia regressiva. È scritto in forma narrativa ed è ovviamente una vicenda personale, ma dà un quadro abbastanza completo di quali possono essere le difficoltà che talvolta si presentano e gli orizzonti che un percorso regressivo può dischiudere. Il titolo del libro è Il mio cuore è rimasto a Berlino, ed essendo un ebook è in vendita solo online. Chi è interessato a sapere qualcosa di più sul mio lavoro può anche visitare le pagine professionali del mio sito: Viaggi nella coscienza.
Ho poi ritenuto utile scrivere un paio di post (questo è il primo) per esporre il mio punto di vista sull’ipnosi regressiva, punto di vista che ovviamente nel corso della mia maturazione personale è molto cambiato rispetto a ciò che pensavo quando ho iniziato quasi tredici anni fa la mia terapia.

Come racconto nel mio libro, la mia prima esperienza con l’ipnosi regressiva ha del miracoloso. Da diversi anni mi interessavo all’argomento e avevo letto già diversi libri, di Weiss, del tedesco Dethlefsen (a mio parere il vero iniziatore dell’ipnosi regressiva moderna) e di altri. In un periodo di grande malessere in cui il mio desiderio di farla finita, che con alterne vicende era stata una costante della mia vita fin dall’adolescenza, era riaffiorato con prepotenza, un’amica mi aveva regalato un libro di Weiss pubblicato da poco. Avevo già letto diversi dei suoi libri, e mi erano piaciuti molto. Quello che mi era stato regalato però, Molte vite, un solo amore, mi sembrava un po’ troppo melenso, troppo “americano”. Ciononostante, portai avanti la lettura e arrivai a un punto in cui il protagonista maschile della storia, vera, narrata da Weiss, ricordava una vita in cui si era suicidato. Leggendo la descrizione del suo stato d’animo dopo la morte, ebbi una regressione spontanea. Ero una donna relativamente giovane abbandonata dal marito e per il dolore mi buttavo da una scogliera. Dopo averlo fatto mi resi conto che avevo gettato via una vita ancora piena di possibilità. Fu uno shock molto doloroso ma estremamente positivo. Il solo rendermi conto con tutto il mio essere che stavo rischiando di ripetere quell’errore mi bastò. Da allora l’idea di suicidarmi non mi è mai più passata nemmeno per l’anticamera del cervello.
Anni dopo si crearono finalmente le condizioni perché potessi iniziare una terapia regressiva con una psicoterapeuta di Roma. Allora praticavo il buddismo, e in base ai suoi insegnamenti la concezione che avevo della reincarnazione era estremamente lineare. Immaginavo uno spirito, o un’essenza, che, per continuare a evolversi, dopo la morte si reincarna in un altro corpo, e così all’infinito. Credevo che il ciclo delle reincarnazioni fosse governato dalla legge del karma: le circostanze che si vivono in questa vita sono l’effetto di azioni compiute nelle vite passate, e le azioni che compiamo oggi determineranno le nostre circostanze future, in questa vita e nelle successive. Semplificando, lo scopo della terapia regressiva diventava quindi quello di ricordare quelle vite in cui abbiamo subito o commesso il male, in cui abbiamo vissuto delle sofferenze prolungate o abbiamo affrontato dei veri e propri traumi — abbandoni, violenze fisiche o psicologiche, uccisioni, guerre e quant’altro — così da poter purificare il passato attraverso un processo di rielaborazione e di perdono, prima di tutto di noi stessi.
Tuttora credo che questo punto di vista sia corretto a un certo livello della realtà. La legge del karma esiste, e il passato può essere guarito attraverso un ampliamento della nostra consapevolezza. Ma questo punto di vista alla fin fine è estremamente limitato, ed è condizionato dai limiti della nostra coscienza, della nostra percezione della realtà e dal nostro pensiero logico e lineare. Per fare un paragone, è analogo alla visione della fisica classica, che pur essendo valida e applicabile in un ampio spettro della realtà materiale, non è in grado di spiegare adeguatamente né di capire il funzionamento dell’infinitamente piccolo. In questo campo perde in gran parte la sua validità e deve lasciare il posto alla meccanica quantistica.
Se ci apriamo a nuove dimensioni della nostra coscienza, arriviamo a intuire che il Sé superiore (o anima, o essenza, o spirito, o comunque vogliate chiamarlo) esiste eternamente fuori del tempo, e non è lineare. Perciò dal punto di vista del Sé superiore, cioè del nostro vero Sé, non possono esistere vite precedenti o vite future. Ogni identità che abbiamo assunto, ogni esperienza di vita che facciamo, che abbiamo fatto o che faremo esiste, per il Sé superiore, nell’eterno “presente”. Per il Sé superiore perciò non ci sono vite passate, ma solo vite presenti. Attraverso queste vite il Sé superiore fa esperienza di sé stesso e si evolve, al di fuori del tempo. Immaginate, giusto per crearvi un’immagine simbolica che può aiutare a capire, un cerchio in cui il Sé superiore è il centro e le vite che sperimenta sono i punti della circonferenza. Per i punti della circonferenza (e quindi anche per la nostra attuale identità) ha senso parlare di un prima e di un dopo. Ma per il Sé superiore che è il centro del cerchio, tutti i punti della circonferenza sono equidistanti e si trovano su uno stesso piano. Per il Sé superiore quindi tutte le vite si svolgono, per così dire, contemporaneamente. Questa prospettiva cambia radicalmente anche il senso e l’efficacia dell’ipnosi regressiva.
Ogni vita permette al Sé superiore di fare un’esperienza di sé stesso e di arricchirsi, e l’esperienza fatta da una determinata identità viene trasmessa attraverso il Sé superiore a tutte le altre identità del (nostro) passato e del (nostro) futuro, e le influenza. Talvolta però si creano dei cortocircuiti. I temi, i desideri, le esperienze, le sofferenze, i traumi, le situazioni non risolte in una vita “traboccano” in un’altra e la condizionano più o meno pesantemente. Così possiamo ritrovarci a inseguire un amore bruscamente interrotto da un’altra identità della nostra coscienza, o a voler vendicare un torto che un’altra identità ha subito, o magari abbiamo le paure, le idiosincrasie, le aspirazioni e i desideri che hanno caratterizzato le esperienze di un’altra vita. Questo crea squilibri e malesseri più o meno profondi, e in ogni caso ci impedisce di vivere appieno la nostra vita, perché stiamo vivendo invece quella di un altro, seppure di un altro che è pur sempre un’espressione del nostro Sé superiore e quindi di noi stessi. In definitiva, finiamo per credere di essere ciò che non siamo, e non riusciamo — o riusciamo solo in piccola parte — a realizzare pienamente la nostra identità, i nostri veri sogni, i  nostri veri talenti e aspirazioni.
L’ipnosi regressiva allora può essere utile a districare questo garbuglio energetico e identitario. Ci permette di entrare in contatto con l’identità che ci condiziona sfavorevolmente, di aiutarla a superare il blocco in cui si trova, e di separarci infine da lei, scoprendo e ridefinendo così ciò che realmente siamo. In questo processo, possiamo liberarci di vecchi malesseri, di situazioni che pur con mille varianti si ripetono costantemente nella nostra vita rendendoci infelici e insoddisfatti, e troviamo una nuova comprensione di noi stessi e della realtà, dando così un senso più profondo alla nostra vita e potendo  riprendere rinvigoriti e con meno zavorre il cammino verso il nostro futuro.
Ma come ho già detto tutto questo non avviene miracolosamente. Ci vuole l’apertura al cambiamento — spesso radicale, — la disponibilità ad affidarsi a un processo che noi stessi guidiamo ma da un livello di coscienza del quale ancora non siamo consapevoli. Per “guarire” le identità della nostra coscienza, ferite e talvolta disperate, è necessario quindi ristabilire la connessione con quel livello di coscienza in cui si trova il nostro Sé superiore, e trovare ed emanare la nostra luce così che possa illuminarle. Quando la luce arriva il processo si compie praticamente da solo.

All’inizio del mio percorso regressivo personale, come ho accennato avevo un’idea estremamente lineare della reincarnazione. Pensavo di potere —  e dovere — cambiare il karma passato. Mi aspettavo di sanare così il dolore di una serie di vite precedenti particolarmente dure che mi rendeva il vivere estremamente tormentoso. Anche questo è avvenuto, ma la cosa ancor più importante è che si è aperto al mio sguardo un universo inimmaginabile, bello e perfetto e permeato dall’amore, che noi esseri umani, nel tempo e nel non tempo, contribuiamo attivamente a creare.

2 Risposte a “Vite passate, vite presenti”

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