Viaggio in Perù. 2: Il tappeto volante

La sera del 19 aprile salimmo sul primo aereo, quello da Cagliari a Roma. La manifestazione concreta del viaggio cominciava. Il 19 aprile di una trentina d’anni fa ho recitato per la prima volta Nam-mhoho-renge-kyo, il mantra buddista che da allora ho poi praticato quotidianamente per quasi trent’anni. Quell’evento aveva dato una direzione nuova e inaspettata alla mia vita e perciò interiormente continuo a celebrare quella data. Nel 2012 la celebravo iniziando un nuovo affascinante viaggio.

La notte dormimmo a Roma, o meglio a Fiumicino, in una stanza che avevamo preso in un albergo poco distante dall’aeroporto. Uno strano posto che un tempo era stato una sede dei Cavalieri dell’Ordine di Malta o qualcosa del genere. In un ambiente decisamente barocco, c’era anche una statua in legno di un Moro in abiti principeschi e altre amenità. Non avevamo cenato e avremmo voluto mangiare qualcosa, ma le uniche cose che rimediammo in albergo furono un tè e una camomilla che sorseggiamo seduti su un ampio divano, in una grande sala esterna all’albergo con arredi rococò e un grande tavolo da biliardo nel mezzo.
La notte a Roma era stata una sosta purtroppo inevitabile. Tutti i voli per il Perù ancora relativamente economici che avevamo trovato partivano da Roma la mattina troppo presto per poter giungere da Cagliari con una coincidenza. Il pacchetto che avevamo scelto implicava altre scomodità, come un volo di quattro ore da Lima  a Cusco, con due scali (mentre il diretto impiega poco più di un’ora), e un tempo abbastanza ridotto, appena un’ora e venti minuti, tra l’arrivo ad Amsterdam e la partenza del volo per Lima.
Gli arcangeli mi avevano assicurato che il viaggio sarebbe stato come volare su un tappeto volante, ed io molto superficialmente pensavo che perciò tutto sarebbe andato esattamente così come lo avevo programmato. Nel corso del viaggio compresi invece che il tappeto volante era in dotazione, ma dovevo imparare a pilotarlo, lasciandomi andare e godendomi il volo. All’aeroporto internazionale di Fiumicino le rassicurazioni degli arcangeli mi aiutarono a non preoccuparmi più di tanto quando fu annunciato che il volo per Amsterdam, purtroppo gestito da Alitalia, sarebbe partito con una mezz’ora di ritardo. Quando arrivammo ad Amsterdam ci restavano a malapena tre quarti d’ora prima della partenza dell’aereo per Lima. E non avevo considerato che l’aeroporto internazionale di Amsterdam è uno dei più grandi d’Europa, e anche quasi correndo ci mettemmo quasi mezz’ora per arrivare al gate. L’imbarco sembrava ancora in corso (e lo era, perché dopo di noi alcuni altri passeggeri vennero imbarcati), attraversammo senza problemi il posto di controllo ma a questo punto ci venne incontro una hostess di terra che ci spiegò che eravamo stati ricollocati su un volo successivo. Tentammo inutilmente di protestare, cosa piuttosto difficile visto il nostro inglese stentato, poi, rassegnati, andammo a ritirare il nuovo biglietto. Saremmo partiti dopo circa un’ora, ma non con un volo diretto. Avremmo fatto scalo a Panama e saremmo arrivati a Lima verso le undici di sera, anziché alle sei come avevamo previsto. La cosa era un po’ seccante, visto che a Lima avevamo prenotato una stanza e un taxi, che per fortuna da Panama riuscimmo a disdire.
Insomma, mi ritrovai inaspettatamente su un volo per Panama, con l’unica speranza che le coincidenze con i voli successivi (per fortuna con molto più tempo a disposizione) non presentassero altri intoppi. L’ingranaggio che avevo elaborato con tanta attenzione era già saltato. I tappeti volanti non hanno ingranaggi, dovevo imparare a viaggiare in un nuovo tipo di energia. Ebbi anche l’impressione che quella tappa imprevista a Panama non fosse casuale. Come se fosse meglio per me arrivare in Sudamerica dal nord, costeggiandola da Panama fino a Lima nella direzione opposta a quella che stava percorrendo la kundalini, che invece è entrata da sud, da Capo Horn,  e si srotola verso l’alto.

La tappa a Panama aveva qualcosa di surreale. Venivamo da un clima non ancora pienamente primaverile e stavamo andando in un posto dove la notte la temperatura poteva scendere anche fino a 7/8 gradi  (per un cagliaritano come me, quasi inverno). Perciò eravamo vestiti di conseguenza. A Panama era piena estate, la temperatura esterna doveva essere sui trentacinque gradi, se non di più, e anche all’interno dell’aeroporto il clima era decisamente estivo, caldo e umido. Coi nostri giacconi e le sciarpe dovevamo sembrare due marziani. In ogni caso non ci furono altri intoppi e poco prima di mezzanotte eravamo a Lima. Dopo avere passato la dogana andammo a ritirare i bagagli ma capimmo ben presto che purtroppo erano rimasti ad Amsterdam, nella migliore delle ipotesi. Ci consigliarono di aspettare il volo successivo, che sarebbe atterrato verso l’una e mezza, perché magari erano state imbarcate su quello. Così restammo un’altra ora e mezzo sbattuti nella zona arrivi dell’aeroporto di Lima. Non potevamo uscire perché non ci avrebbero fatto rientrare, e quindi non potemmo neanche fumare una sigaretta dopo un’astinenza che durava dalla mattina, parecchio per un tabagista come me. C’erano giusto due file di quattro o cinque sedie di plastica per poter cercare di riposarsi e dormicchiare un po’. In mezzo al viavai di persone e gruppi che passavano il controllo alla dogana proprio davanti a noi, dovevamo avere l’aria di due vagabondi che non sapevano dove passar la notte. E la mia fiducia nelle rassicurazioni degli arcangeli cominciava a vacillare un poco. La mia concezione di un tappeto volante era evidentemente piuttosto diversa dalla loro.
Le valige non arrivarono neanche col volo successivo, e dopo avere compilato i moduli per la denuncia di smarrimento uscimmo finalmente all’aperto. Solo allora realizzammo pienamente che eravamo arrivati in Perù! Dopo una boccata d’aria, una sigaretta e una colazione ci sentivamo nuovamente umani. La zona partenze era ovviamente molto più confortevole di quella arrivi, e per compensarci dello spostamento di aereo con tappa a Panama, la compagnia aerea ci aveva almeno assegnato un volo diretto per Cusco che partiva un po’ prima delle sette. Stavamo per arrivare nel cuore del Perù, e del Sudamerica. La Valle Sacra. Ormai il sole era sorto, e quando iniziammo a sorvolare le Ande mi si aprì letteralmente il cuore. La loro maestosità e la loro sacralità erano pienamente percepibili anche dall’interno di un aereo. Era una vista splendida e commovente.

Poco dopo le otto, con un paio d’ore di anticipo rispetto al previsto, eravamo a Cusco. Nonostante il viaggio lungo e defatigante, mi sentivo benissimo, sveglio, lucido e pieno di energia. Sul momento l’altitudine (eravamo a 3250 metri) non mi causò alcun problema. Anzi, l’aria più rarefatta mi stimolava a respirare a pieni polmoni, e questo contribuì a tonificarmi e a mettermi in risonanza con il luogo. Comunque, seguendo i consigli che ci erano stati dati, bevemmo subito un mate de coca, l’infusione fatta con le foglie di coca che è un toccasana per il “soroche”, il mal d’altitudine, che può creare un po’ di problemi, soprattutto i primi giorni.
L’aria era frizzante, ma il sole era bollente. Essendo sardo sono abituato a stare al sole a lungo, anche in agosto. Ma a quell’altitudine il sole sembrava davvero molto più vicino, ed era caldissimo. In ogni caso la giornata era radiosa.
All’orario previsto vennero a prenderci per portarci al residence dove avremmo alloggiato e dove si sarebbe svolta la maggior parte del seminario. Chiedemmo di fermarci a un mercatino per comprare un po’ di biancheria di ricambio, visto che le valige non erano arrivate e noi avevamo solo le poche cose messe nel bagaglio a mano. Io presi anche un paio di camice, ma mi dimenticai che non avevo con me dentifricio e spazzolino. Andammo a prendere un ragazzo americano che era arrivato dal giorno prima e ci avviamo verso il villaggio di Pisac, la capitale dell’artigianato peruviano nei pressi della quale stava il nostro residence, a tre quarti d’ora d’auto da Cusco.
Il residence era nel cuore della valle. Imponenti montagne si ergevano attorno a noi. Nelle vicinanze scorreva il fiume Vilcanota, che poi diventa il fiume Urubamba, che scorre attorno a Machu Picchu e va infine a versarsi nel Rio delle Amazzoni. Ci sistemammo nelle nostre stanze, che erano l’una di fronte all’altra e davano su un piccolo terrazzino all’aperto con una montagna alle spalle. Dopo esserci rinfrescati, andammo a sdraiarci in giardino, in un prato verdissimo, e finalmente liberi da pensieri ci crogiolammo al sole delle Ande. Eravamo in Paradiso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.