Echi di Nuraxia

Su ballu tundu
Su ballu tundu

Sabato scorso, verso le otto di sera, ho assistito all’accensione di “Su Fogadoni” (il Grande Fuoco) in una piazza di Monserrato, un comune dell’hinterland cagliaritano.
Come in tante altre parti d’Italia, in tutti o quasi i paesi della Sardegna è tradizione accendere un grande fuoco a gennaio, in occasione, a seconda delle diverse zone della Sardegna, della festa di due grandi santi della cristianità, Sant’Antonio Abate e San Sebastiano. Pur con sfumature diverse legate in parte alla storia dei diversi santi, in entrambi i casi l’accensione del grande falò ha una funzione purificatrice e di buon auspicio.
Sabato a Monserrato, prima dell’accensione del fuoco, si è esibito un coro di uomini di tutte le età che ci hanno regalato un ottimo esempio di canto corale polivocale, che in Sardegna nasce dalla fusione del più noto e ancestrale canto a tenores coi canti liturgici gregoriani, ed è uno dei più straordinari esempi di canto polifonico nel Mediterraneo.
Disposti in un grande cerchio i coristi hanno cantato alcune canzoni più o meno famose della tradizione sarda, compresa No potho reposare, una delle mie preferite e forse delle più conosciute anche al di fuori della Sardegna, grazie anche all’inimitabile interpretazione dell’indimenticata Maria Carta. La vibrazione creata dalle loro voci, oltre che una grande forza e una ammirevole dignità, trasmetteva una armonia pacificatrice.
Dopo l’esibizione del coro, gli organizzatori della festa hanno comunicato al microfono che per l’accensione del fuoco era sorto un problema. È tradizione che il fuoco venga acceso da uno dei più anziani della comunità ed era stata scelta una donna di novantacinque anni che però, quel giorno, non era stata bene e aveva dovuto rinunciare al suo ruolo. Perciò gli organizzatorichiedevano che il più anziano presente in piazza, possibilmente sopra i novant’anni, si facesse avanti.
La sera era abbastanza fredda, e difficilmente qualche novantenne aveva avuto la voglia di venire in piazza. C’erano diverse persone anziane, qualcuna forse sfiorava gli ottanta, ma nessuno decise di presentarsi. Dopo una decina di minuti e ripetuti inviti, si decise così di far accendere il fuoco simbolicamente al più piccolo presente in piazza, un bambino di ventuno mesi che fu subito portato dalla madre vicino alla catasta di legna. Fu lui quindi ad accendere il fuoco, seppure solo simbolicamente, per interposta persona.
Nulla succede per caso, e a me questo cambiamento della tradizione mi è sembrato un simbolo della vecchia energia che se ne va per lasciar posto alla nuova, rappresentata dal bambino.
Dopo l’immancabile benedizione del prete, data a mio parere senza grande convinzione, il fuoco venne acceso e in pochi minuti iniziò a divampare. Era uno spettacolo imponente e rimasi a guardarlo estasiato. Un passo alla volta riuscii ad avvicinarmi alle transenne che delimitavano per protezione il perimetro del falò. In breve tempo il calore del fuoco arrivò ad avvolgermi. Percepii subito che era un fuoco di purificazione e di guarigione, e mi lasciai permeare dal suo calore e dalla sua energia. Lo inviai al mio cuore, ultimamente sofferente per ragioni ancora non ben precisate, invitandolo a farsi permeare e guarire da quel potere benefico. Sentii l’energia del fuoco che si espandeva come un balsamo nel mio torace, e poi nel resto del corpo. Restai una decina di minuti immerso in una sorta di meditazione, con l’intenzione di risvegliare e rigenerare la mia energia vitale.
Nel mentre che il fuoco ardeva, la piazza si animò e iniziò il ballo sardo. “Su ballu tundu” (il ballo tondo) che, pur ormai ricco di variazioni e figure, ha come formazione fondamentale, da cui si parte e a cui si torna, il cerchio in cui tutti i danzatori si tengono per mano.
Anche se sulle origini del ballo sardo non si sa molto, si ritiene che possa derivare dalle cerimonie sacre preistoriche. Tale teoria sarebbe confermata non solo dall’uso delle launeddas − uno strumento a fiato polifonico di origini antichissime − per accompagnare le danze, ma anche dal legame col fuoco. Tuttora poi la musica che accompagna la danza ha un ritmo che si ripete secondo uno schema ossessivo ed ipnotico.
In alcuni paesi durante le feste dei fuochi di gennaio si balla ancora attorno al fuoco. Quella sera a Monserrato il ballo era un po’ lontano dal fuoco, a ridosso del palco dove suonavano i musicisti. Ma l’effetto, soprattutto quando il cerchio si chiudeva e magari se ne formava uno più piccolo al suo interno, era comunque suggestivo, di grande potenza.
La cosa che colpiva di più era la partecipazione della gente, persone comuni che si univano, forse senza esserne affatto consapevoli, in un rituale antichissimo.

Da tempo sono convinto, e non sono certo l’unico, che in Sardegna attraverso il folclore sono stati tramandati, con la loro essenza ancora intatta, gli elementi fondamentali dei rituali sciamanici che venivano praticati ai tempi della Nuraxia.
I fuochi di gennaio costituiscono un potente rituale di connessione in cui l’individuo e la comunità vengono purificati, in cui si rinnova l’unione tra gli esseri umani, e tra gli esseri umani e gli elementi, e in cui ci si rigenera per prepararsi al futuro, alla primavera non tanto lontana.
La danza in cerchio attorno al fuoco, tenuti per mano, al suono di una musica ipnotica e forse di canti, era un elemento portante del rituale fondamentale. Attraverso i movimenti del ballo tondo, anch’essi estremamente ipnotici per chi li compie, e anche per chi li osserva con partecipazione, i partecipanti al rituale entravano sicuramente in uno stato di trance che permetteva la percezione dell’unità del tutto, nutrendo l’osmosi su cui si basava la Nuraxia. In un certo qual modo i singoli individui attraverso la danza diventavano un unico essere.
Quel sabato sera, in una piazza di un paese della Cagliari metropolitana, alcune centinaia di sardi stavano celebrando dopo vari millenni un antichissimo rituale nuragico. Lo lessi come un segno che davvero la Nuraxia si sta risvegliando e inizia ad affiorare attraverso i numerosi strati che l’hanno ricoperta. E mi sentii onorato di essere presente.

2 Risposte a “Echi di Nuraxia”

  1. Vivo in Continente e da quando sono sbarcata la prima volta in Sardegna sono attratta da questa terra magica…. ma è come se dopo decenni, non avessi mai trovato la giusta connessione con le persone che mi possono accompagnare in profondità verso una dimensione più vera.
    Sono arrivata ieri con la nave e vorrei finalmente conoscere di persona Momi Zanda, che fin’ora ho solo letto qua e là nel blog, ma la mia dimestichezza col computer è limitata, forse è più semplice la posta elettronica.
    Vorrei sapere se ci sono attività in questo periodo aperte a tutti.
    Posso arrivare a Cagliari nei prossimi giorni, prima di salire nell’Oristanese dove alloggio in un pezzetto di terra che in questi ultimi anni mi ha regalato montagne di energia in e un’immensa gioia. Il mio cell. 349 6735563
    Grazie
    Libera

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