Poesie dei WingMakers: Ancient Arrow Site – Camera 22

WingMakers – Dipinto della Camera 22 del sito Ancient Arrow
WingMakers – Dipinto della Camera 22 del sito Ancient Arrow

WingMakers − Poesie della Camera 22 del sito Ancient Arrow

(tradotte liberamente da Momi Zanda − il testo originale inglese si trova nella sezione
Poetry del sito www.wingmakers.com)

Nella grazia del sonno

Son venuto a trovarti la notte scorsa
mentre tu dormivi con l’abbandono di un bambino.
Raggomitolato con noncuranza tra le lenzuola
intarsiate della tua bellezza.
Ho posato la mano sul tuo viso
e ti ho toccato
con la massima delicatezza
perché tu potessi indugiare nei tuoi sogni.
Ho udito i sussurri degli angeli
che ascoltano Casa.
Perciò ho ritratto la mano
preoccupato di poterti svegliare
nonostante la mia delicatezza.

Ma tu rimanevi coi tuoi sogni
mentre io li guardavo farsi strada verso di te
nella grazia del sonno.
E sognai di essere un eco del tuo corpo,
raggomitolato a fianco a te come un cercatore fortunato
che finalmente ha trovato l’oro.
Ho quasi pianto al suono del tuo respiro
ma sono rimasto silenzioso come un lago d’inverno
e mi sono morso il labbro
per essere sicuro di non essere scoperto.

Non volevo intromettermi,
perciò ho messo da parte il mio sogno
e ho preso la tua mano
da sotto le coperte.
Una mano il cui ingresso nella carne
probabilmente è stata l’esca che mi ha portato qui.
E mentre la tenevo
ho ricordato perché sono venuto −
per sentire il tuo palpito e il battito del tuo cuore nella profondità del sonno.
Ho ricordato perché sono venuto
nella grazia del sonno –
per tenere la tua mano, toccare il tuo viso
e ascoltare il delicato respiro di un angelo,
raggomitolato con noncuranza tra le lenzuola
intarsiate della tua bellezza.

Chamber 22. Poem 1

Calda presenza

Una volta indossavo un amuleto
che proteggeva dal forcipe dell’umanità.
Teneva a bada la falange di lupi
che mi circondavano come spettri del Getsemani.
Spettri che anche ora
ripetono il loro mantra come gusci di conchiglia.
Persuadendomi a venir fuori e a unirmi alla tribù terrena.
A svelare l’ampiezza del mio dolore
come un seme di pioppo al vento.

Ora ascolto e guardo in cerca di segni.
Per risultare un recluso che guarda di sbieco ambivalente
inscritto a dire cosa è stato confinato dalle serrature.
È tutto concepito nella guaina del cavo
che ci connette alla Cultura.
Il singolo nero componente che ci descrive a Dio.
Il DNA che controlla la nostra immagine
e guida la nostra naturale selezione di jeans.

Ci sono sussurri di canzoni tremolanti
nel tuono buio e nefasto?
C’è davvero un sole
dietro questo muro di nuvole monotone
che battono un miliardo di martelli di luce?
Ci sono piccoli denti piatti che stillano veleno.
C’è una clemenza integra
negli occhi del carnefice
mentre le sue mani operano per uccidere.
Ma non c’è giustificazione per i santi guardoni
che piangono solo con gli occhi.
C’è solo un sentiero da seguire
quando connetti la mano all’occhio
e liberi gli spettri.

Questa poesia è un’ombra del mio cuore
e il mio cuore l’ombra della mia mente
che è l’ombra della mia anima,
l’ombra di Dio.
Dio, l’ombra di qualche sconosciuto inimmaginabile
ammasso di intelligenza dove le galassie
sono cellule nel corpo universale.
Sono connesse le ombre?
Può questo vasto ammasso sconosciuto raggiungere questa poesia
e assemblare parole che si accoppiano in una sacra giunzione?
È la ragione per cui scrivo,
benché non possa affermare che questa giunzione sia mai stata trovata (almeno non da me).

È più probabile che qualche mano empia,
pallida per l’oscurità, si protenda e getti il suo dolore.
Che qualche ombra o spettro minore
posizioni la mia mano in un avamposto solitario
per reclamare qualche perduta luminanza.
Lo spettro si sforza di ascoltare le canzoni
che vengono mormorate.
Coordina con occhi indagatori.
Pela la buccia per toccare il morbido frutto.
Congiunge le ombre in una.

Ho sognato di trovare una richiesta di riscatto
scritta da Dio di suo pugno.
Scritta così in piccolo che potevo a malapena
leggerne il contenuto, che diceva:
«Ho la tua anima e a meno che non mi consegni –
in piccole poesie prive di contrassegno –
la somma dei tuoi dolori, non la rivedrai mai viva.»

E perciò scrivo mentre qualcosa di sconosciuto si avvolge a spirale attorno a me,
irresistibile alla mia mano, ma tuttavia invisibile.
Altri spettri del Getsemani che onorano
il dolore come confessori professionisti
persi nella loro angoscia.
Io posso raggiungere girasoli alti come un raggio di luna
ma non posso raggiungere la somma dei miei dolori.
Essi mi sfuggono come stelle incandescenti
che cadono la notte fuori dalla mia finestra.

La mia anima dev’essere inquieta.
Il riscatto è troppo alto per essere pagato,
persino per un poeta che esplora
lo strato oscuro della Cultura.

L’anno scorso ho trovato una traccia
− come un angelo nella neve –
di qualche animale, forse un cervo o un orso.
Quando la toccai sentii una calda presenza di vita,
non la fredda radiazione dei cerchi nel grano.
Questa calda energia dura solo un momento,
ma se viene toccata dura per sempre.
E questa è la mia paura:
che la somma dei miei dolori duri per sempre
se viene toccata, e che anche se la mia anima
verrà restituita incolume,
ricorderò la fredda radiazione
e non la calda presenza di vita.

Ora piango quando i bambini cantano
e nel mio cuore scavo una tana per la loro calda presenza.
Ora percepisco Dio aggiornato
dalla fonte delle ombre.
Ora percepisco lo strattone delle briglie
che mi domano come un cavallo selvaggio
diventato improvvisamente remissivo.
Non posso combattere gli spettri
o controllarli o mandarli via.
Mi pungolano
come se un fiume di lava continuasse a scorrere nell’aria fredda della notte
senza stancarsi mai.
Senza cessare mai la sua ricerca
del posto perfetto per diventare una scultura.
Un’anonima caratteristica del paesaggio cinereo.

Se mai troverò la somma dei miei dolori
spero che sia sulla torre del ponte
dove posso vedere entrambe le strade
prima di andare oltre.
Dove posso vedere le contraffazioni come un miraggio nitido
e sbarazzarmi delle mie briglie.
Dovrò essere feroce quando la affronterò.
Dovrò esplorare la sua innominabile luce
e svelare tutte le ombre
intrecciate come omini di carta tagliati da un multiverso di esperienze.
Dovrò lasciare che mi circondino
e che in un unico risonante coro conferiscano la loro epifania
così che io possa consegnare il riscatto e reclamare la mia anima.

Quando tutti i miei dolori saranno riuniti attorno a me
in un cerchio ininterrotto li fisserò con lo sguardo.
Dietro di loro attende un secondo cerchio,
ancora più ampio e molto più potente.
È il cerchio della calda presenza della vita
dopo che i dolori sono passati sotto la fonte delle ombre
e si sono trasformati, simili all’immobile crisalide
che partorisce angeli iridescenti.

Chamber 22. Poem 2

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