Viaggio in Perù. 10: Nel Cuore della Terra

Poco prima delle 9 eravamo all’entrata di Machu Picchu. Ingenuamente io e la mia amica avevamo pensato di poter iniziare ad entrare a fare un giro e incontrarci con gli altri dentro il sito. Arrivati là ci rendemmo conto dalla vastità del luogo — un po’ diverso dai siti nuragici sardi ai quali eravamo abituati! — e che se fossimo entrati prima per conto nostro poteva risultare un problema riuscire a riunirci poi al resto del gruppo quando fosse arrivato. Perciò decidemmo di aspettare fuori, prima dei tornelli di accesso dove dovevi presentare biglietto d’ingresso, passaporto e la carta turistica che ti viene consegnata alla dogana quando entri in Perù. Prima dell’ingresso si trova il Machu Picchu Sanctuary Lodge, un hotel apparentemente non molto frequentato e discretamente lussuoso. Poi c’è la zona con il bar, il negozio di souvenir e le toilette. Noi ci siamo seduti prima dell’entrata e durante l’attesa, durata almeno un’ora e mezza, abbiamo visto sfilare davanti a noi fiumane di visitatori. Un flusso crescente mano a mano che i bus da Aquas Calenties arrivavano a Machu Picchu. Poi, un po’ alla volta, arrivarono gli altri del gruppo, alcuni abbastanza stremati, seppur felici di aver fatto quella salita. Qualcun altro all’ultimo momento aveva rinunciato alla camminata e aveva preso il bus. In conclusione, saranno state almeno le undici quando siamo finalmente entrati.

Appena mi è apparsa davanti agli occhi Machu Picchu sono rimasto senza fiato. Avevo visto, ovviamente, tantissime foto, ma la sensazione che mi ha dato essere là è indescrivibile. Una maestosità e una vastità che non possono essere spiegate a parole, almeno non da me.
Tutto il sito era strapieno di visitatori, ma in fin dei conti questo non creava un grande fastidio, anche perché credo che la maggior parte delle persone, ognuna a modo suo, fosse arrivata là con un atteggiamento di tipo spirituale, e la sacralità del luogo non ne era turbata. I numerosi custodi del sito aiutavano con grande efficienza a smistare il traffico in alcuni punti di attrazione, come la pietra dell’Intihuatana davanti alla quale è possibile sostare solo per il tempo necessario a fare lentamente il giro completo della pietra e ridiscendere. Ed erano molto attenti che nessuno sconfinasse nelle zone recintate, che erano proibite perché probabilmente pericolose o perché attraversandole si rischiava di procurare danni al sito.
La cittadella si estende parecchio in altitudine, sui fianchi di alcune montagne delle Ande, e per muoversi all’interno devi percorrere spesso stradine e scalette in pietra che in qualche punto si affacciano su strapiombi in alcuni casi vertiginosi. Ovviamente è tutto messo in assoluta sicurezza, ma per uno come me che soffre di vertigini la cosa poteva risultare fastidiosa. Invece, come già mi era successo a Pisac Inca, non ho avuto quasi il minimo problema. Ho solo rinunciato, a malincuore, a mettermi in piedi su una pietra sul limitare di uno spuntone di roccia dal quale si vedeva sotto di sé fino alla valle dove scorre l’Urubamba. Un punto energetico di grande impatto ma per me in quel momento del tutto “off limits”.

La mattina, per un paio d’ore, abbiamo visitato la cittadella. Lo sciamano faceva da guida e ci spiegava il vero significato dei luoghi, come erano utilizzati al tempo del Popolo del Sole che ha costruito e abitato Machu Picchu. All’inizio ci aveva fatto un quadro della struttura energetica del sito, con i quattro potentissimi Apu (gli spiriti delle montagne) posizionati a croce, il fiume Urubamba che scorre tutt’attorno per poi proseguire il suo cammino verso il Rio delle Amazzoni, i punti dove entra ed esce il flusso dell’energia, e via dicendo. Per quanto fosse affascinante quello che diceva, talvolta non riuscivo a capire il suo inglese, non perché lui non lo parlasse benissimo ma perché per me ascoltarlo implicava uno sforzo. E una parte di me voleva invece abbandonarsi a quel luogo ed assorbire così senza fatica tutte le informazioni che Machu Picchu era disposto ad offrirmi e che io ero in grado di ricevere. Oltre la mente.
La sua guida però era comunque preziosa, e io per tutta la giornata cercai di stargli il più vicino possibile, stando attento a non essere invadente. Conosceva Machu Picchu come le sue tasche. Era a casa sua e io mi sentivo un ospite accolto e gradito, addirittura coccolato. La sua energia mi dava sicurezza e mi aiutava a muovermi in quel luogo senza impaccio. Ero davvero contento di visitare Machu Picchu con una guida sciamanica con una potente energia di luce, e non con una normale guida turistica. C’erano dei momenti in cui lo sciamano ci richiamava in un punto importante per spiegarci qualcosa, o per dirigerci in un determinato percorso, ma poi era anche possibile staccarsi dal gruppo e girellare nei dintorni liberamente. Tra noi partecipanti al gruppo si era creato ormai un legame profondo, pur nella consapevolezza che probabilmente dopo quei dieci giorni trascorsi assieme la maggior parte di noi non si sarebbe più rivista. Lì a Machu Picchu ero ben consapevole di essere insieme a un gruppo, immerso in un’energia che ci univa, ma questo non mi impediva di essere anche da solo, e sperimentare un mio viaggio personale.

Dopo avere completato la visita dei luoghi principali, ormai entrati in totale risonanza con le energie del luogo, lo sciamano ci condusse in un punto più appartato che si raggiungeva attraverso una diramazione che continuando si allontanava dalla cittadella, e perciò non era molto frequentata. Sotto un’enorme roccia che si protendeva sopra di esso, un piccolo terrazzamento fatto con le pietre offriva ampio spazio per sistemarsi tutti comodamente.
Prima di dare inizio alla cerimonia lo sciamano diede una serie di istruzioni, compresa quella, che riguardava anche me, di non fumare durante la prima parte della cerimonia perché l’energia del tabacco poteva disturbare quella del San Pedro. Poi ci disse anche che eravamo dei privilegiati perché ormai da tempo non è più possibile tenere cerimonie a Machu Picchu. Ma uno dei custodi, che era suo amico, gli aveva concesso di fermarsi un paio d’ore in quel luogo per la prima parte della cerimonia, durante il suo turno. Perciò l’esperienza che stavamo per fare era un grande e raro dono.
Personalmente non ne dubitavo. Ero convinto che fosse un’enorme fortuna poter partecipare a quella cerimonia in quel luogo sacro, ma ciononostante la mia decisione di non prendere il San Pedro non aveva minimamente vacillato. Davvero per me e la mia amica non ce n’era bisogno. Quando lo sciamano ebbe finito di parlare mi avvicinai a lui per informarlo della nostra decisione. Sulle prime la sua reazione fu di stupore. Si era perfettamente accorto che sia io che la mia amica eravamo entrati in piena sintonia con le energie del luogo, e sicuramente aveva pensato che di conseguenza avremmo sicuramente deciso di prendere il San Pedro. Ma dopo il primo attimo di sorpresa mi disse con fare rassicurante che non c’era nessun problema.
Mentre i partecipanti alla cerimonia l’uno dopo l’altro andavano dallo sciamano per bere la medicina, io trovai un posto per stendermi un po’, rilassarmi, dormicchiare. Volevo sentirmi bene, libero di fare quello che avevo voglia di fare.
Quando poi lo sciamano iniziò a cantare gli Icaros, le canzoni sciamaniche che accompagnano le cerimonie con le piante maestre, per sentirlo meglio andai a sedermi in un punto più vicino a lui, su una pietra di fronte al Putukusi, una delle quattro montagne che racchiudono la cittadella. Entrai in contatto con l’Apu della montagna e restai lì, a lungo, a godermi quella comunione.
Spesso quando nei siti megalitici sardi riesco a entrare in profondo contatto con la coscienza del luogo, con le pietre, con gli alberi, con la terra, le informazioni che mi vengono trasmesse si traducono almeno in parte in un discorso logico che mi viene raccontato attraverso la mia mente. Questo talvolta mi aiuta a capire meglio il luogo, a definire in qualche modo le mie percezioni.
Davanti al Putukusi era quasi impossibile. Lo scambio energetico era talmente intenso e profondo che si poteva solo riceverlo con apertura e gratitudine senza pretendere di cercare di capirlo o di tradurlo in parole.

La prima parte della cerimonia durò circa un’ora e mezzo, trascorsa in una pacifica ed estasiante contemplazione. Poi lo sciamano si alzò e si diresse verso la cittadella, e noi lo seguimmo. Rispetto alla mattina il sito era ormai quasi deserto. Gradualmente la luce cominciava a cambiare avviandosi lentamente e impercettibilmente verso il crepuscolo. Dopo aver camminato per un po’ ci fermammo su un ampio terrazzamento ricoperto da un verdissimo tappeto erboso, e lì continuò la cerimonia,. Chi ne sentiva la necessità poteva bere un’altra dose di medicina, e fu dato il permesso di fumare. Restammo là più o meno per un’altra oretta. Io mi sedetti vicino allo sciamano per lasciarmi portare dai suoi Icaros che nel mentre aveva ripreso a cantare. L’atmosfera adesso era più rilassata e informale. Mentre quando eravamo sotto la roccia avevamo mantenuto tutti un silenzio quasi totale, al di là di poche parole scambiate ogni tanto per necessità, ora invece ci sentivamo liberi anche di parlare tra di noi di tanto in tanto, o di ridere assieme perché magari qualcuno nel pieno del suo viaggio faceva qualcosa di buffo o di un po’ strano.
Machu Picchu ci avvolgeva con il suo amore e la sua energia. Ogni istante passato là cercavo di assorbirne il più possibile.
L’ultima tappa della cerimonia fu un altro ampio terrazzamento proprio di fronte al Wayna Picchu, che torreggiava alle spalle della cittadella religiosa e della collina dell’Intihuatana che noi vedevamo dall’alto. Wayna Picchu è la Giovane Montagna, mentre Machu Picchu, il picco più alto, che si erge di fronte a lui, è la Vecchia Montagna. Tra me e il Wayna Picchu era già scoccato il classico “colpo di fulmine”. Era la montagna che più mi aveva colpito al mio ingresso nell’area delle rovine. Si ergeva maestosa e imponente sopra la cittadella, come se la proteggesse. Starvi di fronte era il modo più degno per concludere la cerimonia.
Ormai iniziavano ad allungarsi le ombre. L’ora di chiusura si avvicinava, e i visitatori rimasti oltre noi erano pochissimi. La luce e l’atmosfera erano radicalmente cambiate dalla mattina. Io ero totalmente immerso nell’energia di quel luogo. Benevola, amorevole, accogliente, rassicurante e insieme maestosa e sconfinata. Ero là.

Dopo un’altra mezz’ora trascorsa in quella magica contemplazione — tornati un po’ bambini dopo aver trovato o ritrovato l’abbraccio della Madre (e del Padre) — lo sciamano terminò i suoi canti e dichiarò conclusa la cerimonia.
Ero un po’ in apprensione per la discesa, perché eravamo saliti abbastanza in alto rispetto all’uscita dal sito, e pur non avendo preso il San Pedro ero entrato sicuramente in dimensioni “altre” molto elevate e ora non era facilissimo rientrare velocemente nella realtà abituale. Perciò l’idea di dover attraversare qualche tratto di strada a strapiombo sulla valle sottostante non mi allettava. Per fortuna invece il percorso era assolutamente agevole. Ci fermammo un paio di volte in alcuni edifici che non avevamo visitato la mattina e alla fine raggiungemmo l’uscita. Mi sentivo ancora dentro a un sogno. E sapevo che si era realizzato nel migliore dei modi.
Lo sciamano inizialmente tentò di convincerci a scendere a piedi fino ad Aguas Calientes, ma tranne pochissimi nessuno ne aveva voglia, e prevalse la decisione di tornare tutti coi bus. Prima di salire sul bus mi avvicinai allo sciamano e lo ringraziai con tutto il cuore di avermi permesso di partecipare alla cerimonia anche senza prendere il San Pedro. Era un modo per ringraziarlo della sua guida impeccabile.
«Hermano!» mi disse abbracciandomi con calore, «Grande connessione!»

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