Schizofrenia spirituale

Para verme tenga que buscarme (di Fernando Alvarez Alonso)
Para verme tenga que buscarme (di Fernando Alvarez Alonso)

In breve tempo il mio stato di malessere dilagò incontrollato. I sintomi erano quelli che conoscevo molto bene per averli sperimentati troppe volte nel corso della mia vita. Un senso di impotenza e di sconfitta irrimediabile. La mancanza totale di speranza che qualcosa potesse mai cambiare. La convinzione che nulla e nessuno avrebbe potuto aiutarmi. Un profondo tedio per la vita (almeno per la vita che stavo vivendo), che mi faceva desiderare di abbandonare la prigione del mio corpo e della mia identità, e insieme l’angoscia data dal timore che ciò non fosse possibile forse neanche con la morte.
Ma qualcosa non quadrava. Io non ero più così ormai da anni. Cosa stava succedendo? Riuscendo a fatica a tirar fuori la testa da quelle sabbie mobili in cui stavo sprofondando, cercai di trovare delle ragioni a quel malessere.
Sicuramente, come ho detto nel post precedente, le mie difficoltà con il corpo, e la convinzione che non sarei mai riuscito a venirne a capo, erano state il fattore scatenante, innescato dalla canalizzazione con le foche. Ma non era solo quello.
Mi resi conto che al fondo di tutto c’era una profonda crisi di “fede”, analoga a quelle che diverse volte avevo dovuto affrontare nei quasi trent’anni della mia pratica buddista. Crisi dalle quali quando praticavo il buddismo riuscivo a uscire recitando per ore il mantra fin quando non riuscivo a fare un salto di qualità.
In questo caso direi che c’era stata una sorta di corto circuito. Il percorso dell’ascensione non si basa su una fede di tipo religioso, né tanto meno su una dottrina univoca. Ma le informazioni e le istruzioni che mi arrivavano dalle guide incorporee erano almeno in apparenza troppo incoerenti tra loro, a seconda della persona con cui le canalizzavo. Le guide canalizzate con la mia amica C. davano alcuni tipi di istruzioni con un loro stile e linguaggio particolari, e spesso erano in contrasto con le stesse guide se le canalizzavo direttamente in solitudine. I maestri nuragici di Alpha Centauri che canalizzavo insieme all’amico R. dicevano ancora altre cose. Kryon, canalizzato da Lee Carroll, che è da anni uno dei miei principali riferimenti, diceva cose ancora diverse, e Adamus, canalizzato da Geoffrey Hoppe, un altro dei miei riferimenti per l’ascensione, ne diceva ancora altre.
Certo, nel messaggio di fondo non c’erano contraddizioni, un filo comune legava gli insegnamenti di tutte queste entità, la cui bontà e sincerità non erano almeno per me in discussione. Ma la mia mente lineare voleva disperatamente restare aggrappata ad una logica umana per cui se una cosa è vera non può essere vero anche il suo opposto.
In realtà ero stato avvertito da tempo che invece la logica umana quando si entrava nelle altre dimensioni della coscienza perdeva la sua validità, e che l’ascensione implicava l’uscita dalla linearità alla quale noi esseri umani siamo abituati. Alla fine del 2012 i Maestri ascesi avevano spiegato così il cambio di era: «Ciò che è successo il 21 dicembre 2012 è che finalmente siete usciti da una trappola all’interno della quale tutti stavate impacchettati dentro uno schema di pensiero e niente permetteva la poliedricità. Invece è successo che improvvisamente ognuno ha trovato la libertà di sé e può arbitrariamente scegliere ciò in cui è opportuno credere, e di conseguenza può articolare la sua esperienza sulla base delle scelte che ha fatto e che compie di momento in momento come espressione della propria energia. Così adesso esistono tante alternative possibili che si scelgono con più parti di sé, e la compresenza di queste diverse esperienze frammenta l’identità in una schizofrenica multipossibilità di sé stessi. Questo esplodere di un’unica realtà in tanti pezzi tutti compresenti crea disorientamento nella percezione, ma proprio da questo disorientamento prende forma la nuova cultura che ingloba appunto tutte le possibilità senza emarginarne nessuna perché è una cultura non razzista. Così chi si ostina a rimanere parcellizzato sceglie quella realtà per sé e ne fa l’esperienza privandosi delle altre. Chi invece si apre sulla comprensione delle numerose possibilità vive come ho detto i fenomeni di disorientamento ed entra in una cultura multirazziale.»
Ma anche se teoricamente mi ero aperto alla possibilità di questa coesistenza di tante verità e tante identità anche apparentemente contraddittorie tra loro, nella mia realtà quotidiana sentivo ancora il bisogno di una rassicurante linearità che mi permettesse di avere delle fondamenta solide sulle quali basare le mie scelte e i miei comportamenti. Ma questo, ne diventavo sempre più consapevole, non era più possibile. Almeno non per me.
Però, in questa “schizofrenica multipossibilità” stavo rischiando di perdere me stesso ed il mio centro. Negli ultimi anni avevo cercato di affidarmi − ovviamente sulla base del sentire del cuore, come mi era stato insegnato – e seguivo le direzioni che di volta in volta mi venivano indicate, cercando di non analizzare più di tanto i miei percorsi per contrastare la mia tendenza a lasciar dominare la mia mente ipertrofica. Compresi ora che questa modalità non mi andava più bene, aveva bisogno di un aggiustamento, di un riequilibrio. Dovevo lasciare uno spazio maggiore di accoglienza alla mia parte umana, dato che era lei poi che si macerava e veniva sopraffatta dalla sofferenza. Dovevo ascoltarne i sentimenti e rispettarne la sensibilità.
Grazie a questo ascolto realizzai che la mia parte umana era stata ferita e delusa dalle foche, ed era anche piuttosto arrabbiata. Avevo raccolto immediatamente la loro richiesta di fare da tramite per una comunicazione con loro al seminario del Golgo, e mi ero dedicato sinceramente a quel compito impegnandomi a vincere le mie inevitabili resistenze e scetticismi. E senza neanche una parola di ringraziamento tutto quello di cui mi avevano parlato alla prima occasione era la mia incapacità di recepire correttamente i loro messaggi. Era necessario riuscire a far loro capire i miei sentimenti. Così entrai in meditazione, le chiamai, e non appena fui sicuro della loro presenza esternai sinceramente la mia amarezza e la mia profonda delusione. Con rispetto le assicurai che non mettevo in dubbio la veridicità e l’utilità di ciò che avevano detto nel corso dell’ultima canalizzazione con C., ma aggiunsi anche che se le cose stavano così, almeno per il momento non ero disponibile a continuare a lavorare con loro, non sentendomi in grado di farlo se non a costo di un malessere che non avevo più intenzione di sopportare.
Le foche accettarono le mie parole senza cercare di condizionarmi e rispettando il mio libero arbitrio, come sempre fanno gli esseri elevati quando si relazionano agli umani. Ma percependo che comunque in me era rimasto aperto un varco per l’ascolto mi fecero capire che nella mia comprensione io distorcevo anche i loro messaggi sulla purificazione del corpo.
«Non è così difficile e complesso come pensi tu,» mi spiegarono. «Il primo passo da fare è assolutamente alla tua portata. Basta che tu costantemente comunichi con il corpo e gli dica che lo ami e che desideri il suo maggior benessere.»
Dopo aver concluso il dialogo con le foche, feci un discorso analogo agli arcangeli e alle altre mie guide spirituali, esternando sinceramente la mia delusione, la mia stanchezza e la mia convinzione di essere giunto a un impasse da cui non credevo di poter uscire da solo.
In ogni caso accolsi di buon grado il consiglio delle foche, che sentivo davvero alla mia portata, e nei giorni successivi mi sforzai di metterlo in pratica. In fondo in quegli ultimi anni avevo fatto diversi tentativi di comunicare con il corpo, che una parte di me amava profondamente. E i risultati erano stati soddisfacenti. Ma all’inizio, con mia grande sorpresa, quel semplice dialogo che le foche mi avevano suggerito non fu affatto facile. Quella parte di me che in quei giorni aveva preso il sopravvento non amava affatto il corpo. Al contrario, provava nei suoi confronti un forte risentimento perché quando era entrata nella materia si era sentita imprigionata, rinchiusa nella gabbia del corpo, e aveva cercato per quanto possibile di restarne fuori.
Accettando che in me ci fosse anche quell’aspetto, continuai i tentativi di dialogo con il corpo, rassicurandolo che un’altra parte di me invece lo apprezzava, lo rispettava e lo amava profondamente. Questo mi diede un leggero sollievo, ma il malessere di fondo non scomparve. Mi sentivo bloccato interiormente, ed anche esteriormente, visto che nella mia quotidianità non riuscivo a progettare la benché minima azione che esulasse dalla normale routine. Tutto era faticoso, come se stessi camminando nella melma, e non ero neanche più capace di nascondere all’esterno il mio stato di prostrazione.
Perciò quando ai primi di luglio incontrai il mio amico M. e sua moglie, venuti in Sardegna per un paio di settimane di vacanza, entrambi si accorsero subito delle mie penose condizioni.

Una risposta a “Schizofrenia spirituale”

  1. E l’amore guardò il tempo e rise , perché sapeva di non averne bisogno.. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi , ritornò senza essere partito , il tempo moriva e lui restava. Luigi Pirandello … Semplicemente meraviglioso . Pirandello aveva già compreso-. Gaetano

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