L’Isola dei Beati. 1: L’arrivo dei Saar

Quando i Saar arrivarono nella nostra isola per la prima volta non erano ancora pienamente evoluti. Avevano già acquisito la tecnologia energetica che gli permetteva di muoversi agevolmente nella galassia, ma erano un popolo diffidente e piuttosto aggressivo. Avevano da tempo lasciato il loro pianeta di origine, spinti dalla curiosità e dallo spirito di avventura, e non avevano ancora trovato una nuova casa.
Anche la Sardegna era molto diversa da ora. Era un’isola antica di milioni di anni ma ancora senza nome. Era unità alla Corsica e le terre emerse erano molto più estese di quelle attuali. I Saar furono attratti dalla sua energia già allora vibrante e generosa che emanava il profumo dell’eternità. Il resto del pianeta non catturò la loro attenzione. Sentivano un’affinità solo con la nostra terra. Ma il tempo non era ancora venuto, e i Saar dopo una breve visita proseguirono il loro viaggio interstellare per soddisfare la loro sete di conoscenza.
Fu necessario l’incontro con la civiltà luminosa e armoniosa delle Pleiadi perché i Saar riuscissero a ripulire le loro energie e a nutrire e far crescere le frequenze della condivisione e dell’amore.
Quando fu tempo, tornarono. Nel tempo lineare della Terra sono trascorsi quasi ventimila anni da allora. La storia del nostro pianeta era andata avanti. C’era già stata Lemuria, c’era già stata la prima Atlantide.
I sardi di allora, forse i discendenti di qualche gruppo di sopravvissuti ai grandi cataclismi che avevano causato la distruzione di quelle civiltà, vivevano in uno stato di primitivo degrado. Il loro linguaggio era poco articolato, fatto più di brevi suoni che di parole. Vivevano nelle grotte, o sottoterra, convinti che la luce del sole li potesse uccidere. In casi estremi praticavano addirittura il cannibalismo. Le loro menti e i loro cuori erano offuscati dall’ansia e dalla paura.
Uscivano la notte per cercare cibo (magari la carogna di qualche animale), e legna per il fuoco. Le notti di luna piena erano un dono perché era la luce più forte che da generazioni essi conoscevano. Fu in una di quelle notti che sulla sommità di una bassa collina videro per la prima volta il tempio. Un edificio quadrato di pietra, non molto alto, che illuminato dalla luna sembrava brillare di luce propria. La notte prima, ne erano certi, non c’era. In preda all’angoscia, non osarono avvicinarsi.
Il tempio era stato costruito dai Saar, diventati maestri nel materializzare l’energia. In quel tempo la Terra non era ancora così densa come ora, la materia era più rarefatta e per i Saar non era stato difficile compiere quell’apparente miracolo grazie alla loro tecnologia spirituale.
Ci fu agitazione tra i membri della tribù. Sentivano la presenza di qualche entità indefinibile che prima non c’era. Poteva costituire una minaccia. Decisero di evitare quella zona nelle loro scorribande notturne.
Solo un ragazzo, appena uscito dall’adolescenza, reagì in modo diverso. Il suono con cui veniva chiamato era Nun. Anche lui viveva nella paura, come tutti. Ma la sua intelligenza era più accesa. Provava un’innata curiosità. Avrebbe voluto esplorare la vita al di là dei limiti angusti imposti dalla paura e dalla tradizione. E queste sue qualità erano in risonanza con lo spirito libero dei Saar. Iniziò a captare nella sua mente il loro richiamo. Voleva capire, conoscere, quello che c’era la fuori. Avvicinarsi a quella strana struttura di pietra che brillava nel buio e che prima non c’era. Progettò di uscire dalla grotta durante il giorno, a costo della sua vita, per verificare di persona. Le prime volte il suo tentativo fu scoperto, e gli venne impedito di uscire alla luce del giorno andando incontro a morte sicura. Alla fine, con un’astuzia, riuscì ad eludere la sorveglianza degli anziani e si avventurò all’aperto in pieno giorno. Lui stesso temeva che sarebbe morto, ma non andò così.
Si avvicinò alla collina. Ancora non osò salire fino al tempio. Lo poté però vedere distintamente. Un imponente edificio di pietre lucenti che si stagliava contro il cielo. Intravide davanti al tempio delle figure umanoidi alte più di tre metri. Sentì i loro pensieri dentro la sua mente. «Siamo venuti in pace, come fratelli maggiori, per insegnarvi la nostra conoscenza ed aiutarvi ad uscire dal buio e dalla paura.» Queste sarebbero state le parole con cui avrebbe tradotto ciò che udiva nella sua mente, se avesse posseduto un linguaggio. Ma anche senza parole il messaggio fu chiaro, e per la prima volta nella sua vita percepì nel suo cuore un amore infinito e una grande pace.
Quando tornò nella grotta, vivo, con grande sorpresa di tutti, riuscì a spiegare alla sua gente quello che era successo, e che il sole non era cattivo e la sua luce non uccideva. Non tutti gli credettero, ma alcuni coraggiosi qualche giorno dopo decisero di uscire insieme a lui. Anche loro percepirono, un po’ più confusamente, il messaggio dei Saar, e al ritorno anche loro raccontarono quello che avevano vissuto, confermando l’esperienza del ragazzo. In breve tempo tutti i membri della tribù, tranne i più anziani, presero la nuova abitudine di uscire durante il giorno. Percepivano la presenza dei Saar non più come una minaccia. La vicinanza della loro energia era benefica per loro, leniva la loro paura e le loro ansie. Iniziarono a ridere più spesso, a giocare tra loro come bambini, pervasi di stupore per ciò che vedevano. Ogni cosa alla luce del giorno – gli alberi, il cielo, le pietre − pareva più bella e più amichevole.
Nun continuava a ricevere dai Saar dei messaggi sempre più chiari e complessi, fin quando, seguendo il loro richiamo, vinse le sue resistenze e decise di avvicinarsi al tempio. Due sacerdoti, alti più di tre metri, vestiti di lunghe tuniche colorate, coi volti radiosi e sorridenti, lo accolsero e lo accompagnarono dentro il tempio. Nel vestibolo lo aiutarono a spogliarsi dei suoi rozzi vestiti di pelli di animale e lo accompagnarono nella sala sotterranea del tempio, una grande vasca squadrata piena d’acqua. Rassicurandolo con dei suoni armoniosi lo aiutarono a scendere la lunga scala di pietra e ad immergersi nell’acqua. Non era molto profonda e benché Nun non fosse molto alto gli arrivava solo alle spalle. La sala era in penombra ma quando Nun fu entrato nell’acqua, l’acqua si illuminò di un luce dorata ed iniziò a vibrare, mentre i due sacerdoti continuavano a emettere strani suoni − una specie di canto ritmato − molto diversi dai suoni gutturali con cui Nun comunicava con la sua tribù. Percepì la vibrazione dell’acqua attraversare tutto il suo corpo. Si sentì rinvigorito e alleggerito. La sua mente era più chiara, più sveglia, quasi riusciva a comprendere il senso del canto dei sacerdoti. Armonia, purezza, apertura, luce, amore, creazione. Questo sentiva, intuitivamente, nel profondo del cuore, senza riuscire ad esprimerlo neanche a sé stesso.
Il rito dell’acqua durò per una mezzora ma a lui sembrò che fossero trascorsi appena pochi istanti. Quando fu tempo di uscire dall’acqua non ebbe bisogno dell’aiuto dei sacerdoti per risalire i gradini di pietra. Nel vestibolo fu aiutato a indossare una tunica di un morbido tessuto, che non aveva mai visto prima, di un colore cangiante, con una trama di fili d’oro che quando fu all’aperto scintillò alla luce del sole.
Quasi tutta la sua tribù, spinta dalla curiosità che per una volta aveva prevalso sulla paura, si era radunata ai piedi della collina. I due sacerdoti rimasero nel tempio. In piedi ai due lati dell’entrata, osservavano la scena. Nun scese verso la sua gente con una certa non voluta solennità. Gli venne istintivo aprire le braccia verso di loro, come per  rassicurarli ed accoglierli nel suo cuore. Quello fu l’inizio dell’Era della Luce nella terra che sarebbe diventata l’Isola dei Beati.

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